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Scienza

La nostra intelligenza sta diminuendo: perché i figli sono meno colti dei genitori

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Emiliano Fumaneri

Secondo le ultime ricerche, le nuove generazioni sono meno intelligenti di quelle che le hanno precedute: ecco quello che sta succedendo.

Avete mai sentito parlare dell’effetto Flynn? È il nome dato al fenomeno che a lungo ha visto aumentare nel tempo il quoziente intellettivo in tanti Paesi del mondo, specialmente tra le popolazioni occidentali.

I figli oggi sono meno intelligenti dei loro genitori? – cataniavera.it

Ad accorgersi per primo di di questo progresso del QI fu lo psicologo statunitense James R. Flynn, che diede appunto il nome a questo effetto di crescita dell’intelligenza (o meglio dell’indicatore più noto che dovrebbe misurarla), soprattutto tra la popolazione del mondo industrializzato. 

La crescita del QI è proseguita senza sostanziali interruzioni dal 1938 fino al 1985. Da un certo punto in avanti però gli studiosi hanno cominciato a rilevare un’inversione di tendenza. Nelle società industrializzate la corsa del quoziente intellettivo sembra essersi non solo arrestata, ma aver cominciato a regredire.

Perché i figli oggi sono meno intelligenti dei loro genitori

A partire dai primi anni Duemila si è verificato un calo consistente del quoziente intellettivo, al punto che per indicare questo fenomeno regressivo si è cominciato a parlare di effetto Flynn inverso. In sostanza, per gli psicologi, da circa una decina di anni i figli stanno crescendo meno intelligenti dei loro genitori.

Sono diverse le ipotesi avanzate per spiegare perché i figli oggi sembrano meno intelligenti dei loro genitori – cataniavera.it

Per quale motivo il QI si sta riducendo? Sono state avanzate diverse ipotesi sulle cause della diminuzione dell’intelligenza presso le generazioni più giovani. Tra queste la genetica, l’alimentazione, l’inquinamento. Secondo una ricerca del 2018 ad opera di due ricercatori del Ragnar Frisch Centre for Economic Research (Università di Oslo) alla base dell’effetto Flynn inverso ci sarebbero dei fattori ambientali. 

Uno dei principali, tra i più allarmanti, è l’impoverimento del linguaggio al quale, come mostrano ormai molti di studi, sono legati sia il pensiero che la capacità di pensare. Un linguaggio impoverito in sostanza non mina soltanto il vocabolario, vale a dire la quantità di parole che impieghiamo. Ben di più: compromette anche le nostre capacità di elaborazione linguistica, come per esempio la perdita dei tempi e dei modi verbali.

Il legame tra povertà linguistica e declino dell’intelligenza

Non è un mistero per nessuno che tempi più complessi come congiuntivo e condizionale siano quasi specie in via d’estinzione. Stesso discorso per imperfetto, participi e futuri composti. La tendenza che va per la maggiore spinge a declinare i verbi al presente. Coi verbi però anche le azioni vengono ridotte al presente, all’hic et nunc, togliendo ogni capacità di proiettarsi in avanti, di formulare ipotesi, avanzare dubbi.

Un linguaggio sempre più zoppicante è legato a un’intelligenza sempre più povera – cataniavera.it

In altre parole, con la perdita di modi verbali come il congiuntivo (che come dice il nome serve a congiungere, cioè a unire e collegare) perdiamo la capacità di dubitare, di esprimere un’incertezza, di fare ipotesi che vadano oltre lo stato del mondo così come è. Insomma, è come se le cose dovessero essere sempre così nello stesso modo in cui ci si presentano, si eclissa per noi il pensiero della possibilità: non pensiamo più che un altro mondo sia possibile.

Stesso discorso per il condizionale, il modo verbale che indica la condizione da soddisfare perché possa prodursi un determinato evento. Con la sua “estinzione”, andiamo a perdere il senso del limite. Si vanifica la capacità di percepire e concepire i confini, non siamo più in grado di renderci conto che la nostra condizione è limitata. Mentre se svanisce l’imperfetto perdiamo anche il pensiero che le cose possano essere “per sempre”. Se sparisce il participio smarriamo invece l’indefinitezza.

Non stupisce allora che con il declinare della complessità linguistica si perda la capacità di dialogare, di spiegare le proprie ragioni facendo uso del logos, della parola che da sempre è sinonimo di ragione e intelligenza. Anche la parola allora, come mostra il clima sempre più rissaiolo dei social, diventa sempre più un’arma per aggredire il prossimo e imporre la propria volontà, non per costruire ponti e comunicare all’altro il proprio pensiero.

Emiliano Fumaneri

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